Con la sentenza n. 38826 del 2016, la Corte di Cassazione ha ribadito che quando gli elementi probatori non consentono di ipotizzare “in termini di certezza” la destinazione del residuo al riutilizzo, è esclusa la possibilità di qualificarlo come sottoprodotto non costituente rifiuto.

Nel caso in esame relativo ad una cava abusiva sottoposta ad operazioni di recupero ambientale, i ricorrenti non hanno potuto provare il successivo utilizzo di un cumulo di materiale calcareo, rinvenuto durante un sopralluogo dalle autorità, e che quindi va qualificato come rifiuto speciale. Lo stoccaggio del materiale in questione, in un’area diversa da quella autorizzata, configura la condotta di smaltimento incontrollato di rifiuti (art. 256, comma 2, D. Lgs. 152/2006) e di violazione delle prescrizioni stabilite (articolo 256, comma 4).